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Introduzione alla tintura

Avevo pensato di partire parlando direttamente delle singole ricette di tintura (almeno quelle che ho sperimentato personalmente) ma mi sono resa conto che, in effetti, forse sarebbe stato meglio iniziare con un post introduttivo che contenesse tutte le cose fondamentali da sapere prima di iniziare.
Nel farlo andrò un po’ a braccio perchè, non avendo preventivato questo post, non ho a portata di mano gli appunti ed i libri che parlano delle basi. Spero di non dire sciocchezze ma, nel caso capitasse, vi prego di chiudere un occhio 😛
Anche in questo caso sto parlando della mia personale esperienza, senza velleità di mettermi “in cattedra”. Se quello che scrivo sarà utile a qualcuno ne sarò felice.

Dunque, stiamo parlando di tecniche di tintura naturale per filati e tessuti. Si possono utilizzare per tingere qualsiasi fibra non sintetica, sia essa vegetale o animale, utilizzando pigmenti vegetali che possono provenire da parti diverse di piante diverse.  A seconda della pianta in questione, quindi, possiamo usare il fusto, le foglie, i fiori, le radici, la corteccia od un misto delle summenzionate.
Con le giuste procedure si può ottenere (virtualmente) qualsiasi colore ad eccezione, forse, del nero come lo intendiamo ora (si può invece ottenere un blu molto scuro, un grigio od una sorta di “testa di moro” sovrapponendo i pigmenti tramite bagni successivi) anche se, come è intuibile, il grado di difficoltà più variare sensibilmente tra una procedura e l’altra.
Quali colori si possono ottenere, e con che pigmento?
Faccio un piccolo (limitatissimo) schema, nella lettura del quale vi invito a tenere presente che ci possono essere molte variazioni a seconda delle condizioni di crescita delle piante, del clima e del suolo.
Marrone (forse il colore più semplice da ottenere): mallo di noce, cortecce, bucce di cipolla, the, caffè
Rosso: radici di robbia, frutti rossi, vino, barbabietola, hennè (lawsonia inermis)
Giallo: reseda, camomilla, tanaceto, iperico, ginestra, curcuma
Blu: indaco, mirtilli, more, cavolo rosso, sambuco
Verde: Foglie di camomilla, foglie di edera, foglie di ciliegio,ortica, piantaggine, spinaci

La procedura che descriverò è applicabile alla maggior parte dei pigmenti naturali escluso l’indaco (da guado o da indigofera) che si estrae non per bollitura ma per fermentazione e che, pertanto, richiede una tecnica radicalmente diversa.

Materiali necessari:

  • Fibra e pigmento (ovviamente)
  • Mordente
  • Pentola per mordente (il volume dipende dalla quantità di fibra che si vuole tingere ma dovrebbe essere minimo da 5 litri. Se prevedete di affrontare progetti più complessi del singolo gomitolo di lana vi consiglio di tagliare la testa al toro ed acquistare un pentolone da cucina da almeno 20 litri. Non è necessario siano di alta qualità per cui dovreste cavarvela con circa 30 euro)
  • Pentola per tintura (opzionale ma utile se volete portare avanti la mordenzatura ed il bagno di tintura in contemporanea) – IMPORTANTE: non è salutare cucinare nelle pentole utilizzate per tintura e mordente. Se non ve la sentite di comprare una pentola nuova potete utilizzarne di vecchie a patto di non cuocerci poi la pasta.
  • Mestolo (vale lo stesso discorso delle pentole)
  • Guanti (non essenziali, se non vi impressiona poi andare a lavorare con le unghie multicolori)
  • Vaso per mordenti (anche qui, eviterei di usare un bicchiere dal quale poi berrete. Ma un vecchio vaso di sottaceti, ben lavato, andrà benissimo)
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    Bagno di mordenzatura

    Le fasi, sommariamente parlando, sono le seguenti: Lavaggio, mordenzatura, preparazione del bagno di tintura, tintura vera e propria, risciacquo.

    Andiamo con ordine:
    1.Lavaggio
    E’ molto importante che la fibra, in qualsiasi forma si presenti(filato, tessuto o anche solo il fiocco cardato), sia lavata in modo da eliminare i residui di trattamento chimico che può aver subìto in fase di lavorazione e che possono compromettere il processo di tintura. L’ideale è un sapone neutro e delicato, utilizzato in acqua tiepida e risciaquato con grande cura. E’ anche importante dire che esistono siti dai quali è possibile acquistare fibra non trattata con agenti chimici che, di conseguenza, vi permette di saltare questo passaggio a cuor leggero.
    2.Mordenzatura
    La mordenzatura è la fase che permette di creare un “ponte” chimico tra la fibra ed il pigmento, che altrimenti non si fisserebbe alla fibra stessa, ed è necessaria tranne nel caso in cui si stia utilizzando un pigmento contenente tannini (mallo di noce, the, galle di quercia o castagno, corteccia di quercia o castagno etc). Il metodo più semplice per mordenzare in casa è utilizzare del sale grosso sciolto nell’acqua di mordenzatura mentre, se vogliamo tenere un approccio più “scientifico”, si possono utilizzare allume di potassio, cremor tartaro o soda,a seconda dei casi. I mordenti vanno pesati, sciolti singolarmente on un barattolo e poi versati nel bagno in modo da evitare che ci siano dei grumi.
    Il bagno deve essere abbondante, diciamo almeno due litri d’acqua per ogni 100 grammi di filato (anche se io preferisco tenermi sui 4 litrix100g): la fibra deve “navigare” bene nel bagno di mordenzatura.
    Lo stesso discorso varrà poi per il bagno di tintura.
    La fibra va messa a mollo nel mordente a temperatura ambiente e portata, molto lentamente (non è il caso di metterci meno di un’ora, meglio un’ora e mezza), a ridosso dei 100 gradi (diciamo 95-98). Deve sobbollire per un’altra ora almeno e poi va fatta raffreddare nello stesso bagno che, in seguito, potrà essere “rinfrescato” con l’aggiunta di altro mordente e riutilizzato.
    Se si lavora con la lana è importante tenerla a bagno almeno una mezz’ora a temperatura ambiente prima della mordenzatura ed evitare di farle fare sbalzi di più di 10 gradi, onde evitare che infeltrisca (in questo frangente, un termometro da cucina potrebbe essere il vostro migliore amico, ma col tempo si impara ad andare “a occhio”).

    3.Preparazione del bagno di tintura
    Si tratta di un’operazione preventiva non sempre necessaria ma comunque molto importante. Diversi pigmenti, infatti, necessitano a propria volta di un passaggio che consenta di estrarli dalla pianta.
    In alcuni casi è necessario fare un decotto, ovvero far cuocere la pianta nel suo bagno a temperatura bassa per un paio d’ore (come nel caso della reseda) , in altri è necessario macerare il materiale per almeno una notte prima di utilizzarlo (come nel caso delle radici di robbia).

    4.Tintura
    Una volta che il bagno di mordenzatura e quello di tintura si sono raffreddati entrambi, si può trasferire la fibra dall’uno all’altro ed iniziare finalmente la parte divertente.
    Il rapporto acqua-fibra per la tintura è lo stesso della mordenzatura, mentre il rapporto pigmento-fibra dipende da una serie di fattori: il tipo di pigmento, il risultato che si vuole ottenere ed il tipo di fibra impiegata (ognuna “prende il colore” in modo diverso). Le proporzione pigmento-fibra varia moltissimo a seconda del pigmento stesso per cui è difficile fare una stima. Io non sono mai scesa sotto un rapporto 1:1 ma, normalmente, ogni rivenditore di pigmenti saprà consigliarvi in base al suo prodotto.
    La logica del bagno di tintura è la stessa del mordente: una salita lentissima fino a circa 90 gradi (deve sobbollire ma, di norma, non bollire) ed una cottura alla stessa temperatura per almeno un’ora e mezza, dopo la quale la fibra va lasciata raffreddare nel bagno.

    5. Risciacquo
    Una volta che la fibra sarà tornata ad una temperatura vicina a quella ambiente andrà strizzata (il bagno di colore si potrà infatti  riutilizzare) e risciacquata con cura finchè l’acqua non sarà limpida.
    Anche in questo caso fate attenzione a non esporre la lana a sbalzi maggiori di 10 gradi centigradi (quindi, se è ancora calda, non lavatela in acqua fredda).

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    Mini bagno di foglie di noce per un mini progetto

    Come si sarà intuito dalle tempistiche descritte, ottenere un risultato ottimale dal processo di tintura naturale richiede molto tempo e pazienza. Di solito io dedico alla tintura un weekend per volta, mordenzando il sabato e tingendo la domenica in modo da essere sicura di avere il tempo necessario a portare a termine i vari passaggi. Durante la “cottura” è inoltre importante tenere d’occhio la temperatura dei bagni, avendo la prontezza di abbassare il gas nel caso iniziassero a bollire. Come detto in precedenza, potreste trarre grande vantaggio dall’acquisto di un termometro da cucina.

    Spero che questa introduzione sia stata sufficientemente chiara. Con il prossimo post dedicato inizierò a parlare nello specifico dei singoli pigmenti e del loro trattamento.

A proposito delle dame de L’Orange

E del perché non sono un riferimento adatto alla ricostruzione dell’abbigliamento Longobardo.

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Questo post nasce da una serie di circostanze coincidenti che mi hanno spinto prima ad approfondire il mio ragionamento e la mia conoscenza dello stile del Tempietto: la prima è l’occasione avuta di vedere le Sante da vicino, approfittando della chiusura del tempietto stesso per restauro che costringe ad un percorso alternativo, dando al visitatore la rarissima possibilità di vedere gli stucchi attraverso una delle finestre laterali anzichè dal basso.
La seconda è una discussione avvenuta con un’amica svizzera, che mi ha chiesto un’opinione sullo stile dell’abbigliamento rappresentato, forzandomi a mettere “nero su bianco” la mia opinione, che quindi ho pensato potesse valere la pena condividere.
Quindi: quali sono le caratteristiche stilistiche dell’abbigliamento delle Sante, le dame de l’Orange (da Hans Peter L’Orange, che per primo ne ha fatto uno studio sistematico) , e perché non le ritengo adeguate ad essere prese come esempio per l’abbigliamento longobardo, nonostante il nome del Tempietto e la sua appartenenza al patrimonio UNESCO?

Facciamo un passo indietro per capire meglio di cosa stiamo parlando.
Il Tempietto Longobardo, ora parte del complesso dell’oratorio di Santa Maria in Valle a Cividale del Friuli ed è la testimonianza architettonica meglio conservata dell’epoca longobarda.
Fu edificato verso la metà dell’ottavo secolo, per fungere da cappella palatina al complesso della Gastaldaga, sede appunto del Gastaldo, l’ufficiale regio.
Ciò che lo rende eccezionale nel suo genere è lo stile scelto per la decorazione, molto lontano da quello più tipicamente “longobardo” del pur coevo (per fare un esempio) altare di Ratchis, anch’esso realizzato su commissione longobarda ma, a differenza del Tempietto, longobardo anche nell’esecuzione.
Le scelte stilistiche e tecniche dell’insieme delle decorazioni del Tempietto tradiscono, infatti, una “mano” che viene universalmente definita “Siriaco -Bizantina”, che guarda marcatamente al mediterraneo e sulla quale non mi soffermerò oltre per evitare di dilungarmi. Aggiungerò qualche nota bibliografica in calce.

Per quanto gli stucchi siano ricchi e raffinati, infatti, non possiamo evitare che lo sguardo venga attratto dalle sei figure femminili, allineate sopra la lunetta dipinta che corona l’ingresso.
Si tratta di un gruppo di altorilievi in gesso, alti tra il metro e novanta ed i due metri circa. Il fatto che indossino diademi e reggano croci e corone, insieme al fatto di essere aureolate rende chiaro che si tratti di sante.
Lo stile con cui sono rappresentate, così come la tecnica di intaglio applicata, ricordano da vicino i pannelli bizantini in avorio, con i quali condividono l’approccio grafico al punto da sembrare delle riproduzioni “fuori scala” delle figurine incise su osso, legno ed avorio comuni a Bisanzio.
Come il coevo altare di Ratchis, inoltre, erano dipinte di colori vivaci che svolgevano una funzione simbolica oltre a permettere di vedere meglio, ad occhio nudo, i numerosi dettagli dell’abbigliamento e degli accessori.

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Le tre figure sulla destra: ipotesi di ricostruzione della policromia a cura di Bente Kiilerich

L’interpretazione degli elementi di abbigliamento si basa anche su fonti testuali coeve nei quali gli indumenti vengono descritti, in mancanza di resti tessili sufficienti all’identificazione.
Le sante ai lati della finestra indossano una combinazione molto semplice di Palla e Tunica (come in Santa Sabina a Roma e nella chiesa di Panagia tis Aggeloktistis a Cipro)

La seconda e la quinta
(le figure centrali di ogni gruppo di tre, insomma) indossano una tunica dalmatica, la prima ornata da clavi, simili nello schema ad alcuni esempi copti e bordati di perle che contribuiscono a dare una forte connotazione imperiale alle due figure. Si tratta di indumenti che riproducono originali in seta con ampie bande tessute che sono tipiche dei ceti più ricchi come testimoniato dai bassorilievi di San Vitale a Ravenna (i cui mosaici, pur non essendo coevi, forniscono un discreto ventaglio di esempi di abbigliamento nobiliare bizantino). La seconda indossa una dalmatica priva di clavi, con ornamenti sull’orlo e sui polsi che ci permettono di distinguere la presenza di due tuniche sovrapposte, una a manica stretta ed una con le maniche ampie.

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Il gruppo di sinistra

La prima e la sesta, infine, indossano una palla ed una dalmatica diagonale, derivata dalla toga contabulata maschile, che veicola una connotazione di potere e autorità. Anche qui lo stile e l’uso di perle per accentuare la definizione dei decori segue in modo marcato lo stile delle corti bizantine dando una chiara connotazione imperiale. Altri esempi di dalmatica diagonale si trovano in Santa Maria Antiqua a Roma e nel manoscritto di Dioscoride conservato a Vienna.

Tutte e sei le Sante indossano, infine, delle particolari scarpe a punta che, a propria volta, sembrano ammiccare ad uno stile molto più orientale di quanto ci aspetteremmo di trovare a Cividale.

 

Riassumendo, per quale motivo le dame de l’Orange non sono (a mio avviso) da prendere ad esempio per la ricostruzione dell’abito Longobardo (nonostante il nome del Tempietto)?

1.La data di costruzione, a ridosso della fine del regno longobardo, è già un dettaglio sufficiente a spingerci a considerare il Tempietto come una fonte iconografica da prendere con le dovute cautele.
2. La manifattura è chiaramente orientale, in alcune interpretazioni addirittura Siriaca.
3.Lo stile raffigurativo è estremamente simile agli avorii incisi dell’impero d’oriente
4.La tecnica ed i materiali sono, a propria volta, più legati all’est del mediterraneo che all’Europa continentale
5.Gli abiti ed i gioielli rappresentati trovano ampie corrispondenze nell’arte Bizantina (in Italia quanto altrove nel mar mediterraneo).

Al di là di questa mia personale riflessione, tuttavia, il Tempietto resta un monumento di straordinario pregio che merita di essere visitato ed apprezzato nella totalità delle sue eccezionali caratteristiche artistiche, tecniche e di conservazione dei dettagli. Se ci si trova da qualche parte nel nordest italiano, vale assolutamente la pena cercare di andare a visitarlo.

Riferimenti bibliografici e sitografici:
http://www.tempiettolongobardo.it/
Circuito Museale Cividalese
Monastero di Santa Maria in Valle

“L’ VIII secolo, un secolo inquieto”– Atti di convegno
BENTE KIILERICH: “The rhetoric of materials in the Tempietto Longobardo at Cividale”

 

 

 

 

 

Metodologia della Ricostruzione Tessile

Ho pensato che il modo migliore di iniziare questo Blog sia descrivere quali siano le caratteristiche fondamentali del mio approccio ed i concetti fondamentali alla base delle mie ricostruzioni.
Prima di tutto dobbiamo tenere a mente una cosa fondamentale: il terreno, in Europa continentale, non ha quasi mai caratteristiche tali da permettere la conservazione del materiale tessile. Tutto quello che “ci viene lasciato” sono frammenti di pochi centimetri, conservatisi per mineralizzazione a contatto con elementi metallici del corredo quali fibbie, decorazioni applicate alla cintura e così via. In assenza di un singolo reperto da riprodurre nella sua totalità. I’approccio ricostruttivo passa quindi anche per una fase che io chiamo “unire i puntini”, come nel gioco di enigmistica, e che consiste nell’allargare il raggio di ricerca confrontando i dati archeologici in nostro possesso con fonti scritte ed iconografiche coeve e compatibili e con reperti più integri proveniente da altre zone geografiche.
Nel farlo è essenziale tenere presente che il nostro scopo è ottenere un prodotto verosimile, il più possibile attinente alle informazioni che abbiamo, evitando scelte fantasiose o dettate dal gusto personale, senza scorciatoie e mantenendo il più possibile un atteggiamento di onestà intellettuale.
Dobbiamo inoltre tenere presente che si tratta di un lavoro di congettura e che le nostre deduzioni possono essere quotidianamente smentite dalla pubblicazione di un nuovo studio o dal ritrovamento di un nuovo reperto.
Una volta identificate e selezionate le fonti utili a definire il progetto si passa alla realizzazione materiale che va portata avanti con lo stesso rigore e la stessa forma mentis: è necessario scegliere un tessuto compatibile per trama e tipologia di fibra a quello dei reperti di riferimento, strutturare il modello in modo che le proporzioni rispettino le fonti iconografiche ed utilizzare per la sua costruzione tecniche e materiali coerenti con l’epoca di riferimento.
I capi da me riprodotti e che compariranno in questo blog sono pertanto cuciti interamente a mano, utilizzando filo di lino o di lana e tecniche compatibili con l’epoca di riferimento. Sono inoltre tinti con pigmenti naturali e rifiniti con applicazioni che, quando presenti, sono state progettate e tessute a mano.

Questo, naturalmente, non le rende riproduzioni perfette: la ricostruzione tessile è una materia in continuo mutamento. Tutto ciò che possiamo fare è scegliere una direzione e seguirla cercando di avvicinarci quanto più possibile ad un originale irragiungibile.

Nini

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I think that perhaps the best way to open this Blog is to describe the basic charateristics of my reconstructions.

First of all, we need to bear in mind something essential: the ground, in continental Europe, seldom preserves textile material.
All that is left for us are small fragments, preserved by being in contact with iron components of the grave goods such as belt buckle or ornaments.
Since there isn’t a single finding to be reproducted, the reconstruction approach goes trough a phase I call “joining the dots” (like in a puzzle), consisting in widening the research radius and compare our archaeological data with written sources, coeval iconography and other better preserved findings from the same area and century.

While doing so, it’s important to bear in mind that our goal it’s to obtain a plausible product, as faithful as possibile to the information we have, avoiding choices that are too creative or influenced by our personal taste, without taking shortcuts and keeping an attitude as intellectually honest as possibile.
We also need to remember that it’s always a conjectural job and that our deductions might be proved wrong everyday by a new studies or new fragments.

Once the sources are identified and selected it’s time for the actual garment production, which needs to be done with the same strictness and mind frame: it is necessary to pick a fabric compatible in pattern and fiber with the one in the finding, shape the garment structure so the proportions match the iconographies ad sew it with techniques and materials consistent with the century.
Each garment I made and I will describe in this blog are therefore entirely hand sewn with linen or wool thread and consistent sewing techniques. They are plant dyed and with hand woven decorations.

This, of course, doesen’t mean they are perfect reproductions: textile reconstruction is subject to constant mutation. All we can do is to pick a direction and follow it, each step taking us nearer to an unattainable original.

Nini